Vogliamo raccontarvi una storia d’amore, che nasce un anno fa nella nostra parrocchia.
Tante parole ascoltate o dette, perdono senso se l’amore non si vive di persona, e se le idee e i sentimenti non passano dall’incontro e dalla conoscenza diretta tra le persone.
Vi raccontiamo di Mohammed, ragazzo di 19 anni, musulmano, profugo ivoriano, e della storia d’amore che lo ha unito ad un parroco, ad una parrocchia ma soprattutto ad una famiglia.
Iniziamo con la sua storia. Ve la raccontiamo come l’abbiamo fatta vivere al nostro reparto durante un fuoco quest’estate al campo estivo… immaginate un fuoco ed un coro parlato:
“Ho 19 anni e sono nato in Costa d’Avorio il 5 aprile del 1997 ”
La sua famiglia era molto povera e viveva in un villaggio fatto di baracche.
“Sono il terzo di 5 figli, ho due fratelli più grandi e due sorelle più piccole.”
Quando aveva 13 anni il suo papà si è ammalato ed è morto. Nella cultura del suo villaggio si usa che il fratello del papà (quando lui viene a mancare) prende possesso della sua famiglia e delle sue cose. Ma lo zio non era una brava persona e la sua mamma non se l’è sentita di sposarlo e quindi si è vista costretta a fuggire così anche i due fratelli grandi.
“Mio zio ha venduto la nostra casa, mi ha preso con sé insieme alle mie due sorelline piccole e ci ha portati in Guinea con la promessa di farci studiare e poi riportarci dalla mamma. Ma non è stato così, perché mio zio ci maltrattava ci ha resi quasi schiavi.”
A quel punto lui è fuggito per ritornare dalla mamma, ma a causa del virus Ebola la frontiera della Costa d’Avorio era chiusa, per cui dall’età di 13 anni si è ritrovato a vagare per l’Africa in cerca della mamma. Ha attraversato il deserto lungo 4000 km su quelle jeep stracariche di persone che vediamo in tv. A volte le jeep scaricavano e abbandonavano le persone. A lui è capitata la stessa sorte.
“Sono riuscito a sopravvivere mangiando datteri e procurandomi legna per la notte (che nel deserto è fredda). Nei momenti difficili ricordavo sempre le parole del mio papà che mi diceva di fare del bene, di aiutare gli altri e di non far mai male a nessuno. ”
È risalito dopo 5 giorni di un’altra jeep ed è arrivato in Libia.
“Sono stato abbandonato nella capitale. Per caso sono entrato in un negozio ed il negoziante ha avuto pietà di me. Era un signore anziano e solo. Mi ha preso nella sua casa per un anno e mezzo. Mi faceva lavorare come muratore per ricostruire la sua casa bombardata e alla fine proprio per aiutarlo mi ha messo su un gommone così che potessi arrivare in Europa e studiare.”
Ma il gommone si è fermato in mezzo al mare. Erano in cento, alcuni svenivano e si sentivano male. A metà traversata si è rotto il motore. L’unica cosa che potevano fare era pregare.
“Siamo rimasti fermi in mezzo al mare tutta una notte, finché una nave italiana il giorno dopo ci ha visti e ci ha portati a Lampedusa. ”
Da Lampedusa attraverso varie soste è arrivato a Pescara dove lo abbiamo conosciuto perché andavamo a fare volontariato nel centro di accoglienza.
“Il mio nome è Mohammed”
Dopo qualche mese ha scoperto di avere un linfoma. Un tumore grave al sistema linfatico.
“Purtroppo nella mia città molti ragazzi muoiono per questa malattia perché le industrie petrolifere e chimiche europee ci hanno scaricato veleni in cambio di pochi soldi dati a persone corrotte.”
Mohamed si è curato, con l’aiuto di tutta la nostra comunità parrocchiale (don Massimo in prima linea), ma in particolare circondato dall’amore della famiglia di Franco e Graziella. Qualche mese fa è riuscito anche a rintracciare la mamma che lo credeva morto perché non aveva più notizie di lui da 5 anni. È un ragazzo che nella vita ha sofferto molto. E’ musulmano e ha una grande fede in Dio che lo ha sempre guidato è sostenuto anche nelle prove più difficili della vita.
Qui finisce il racconto ed inizia la cronaca: Mohamed ha lottato, ma purtroppo non ce l’ha fatta e qualche giorno fa è morto.
Dopo questo evento la nostra parrocchia sta sperimentando la comunione tra cattolici e musulmani, la fratellanza tra un sacerdote ed un imam, la vicinanza tra comunità che credono nello stesso Dio e che vivono la fede con una così grande comunione di valori.
Franco e Graziella con i loro figli hanno accolto nella loro famiglia Mohammed, e dopo i funerali hanno scritto della loro esperienza.
Ci sembra bello condividere con voi le loro parole, perché da queste possiate scorgere con la vostra anima uno scorcio del paradiso che siamo certi che Mohammed stia già vivendo.
Quanti doni continua a farci Mohamed…
In questi ultimi due giorni abbiamo vissuto insieme un vero miracolo, uno dei tanti a cui abbiamo assistito accanto a Mohamed.
Fratelli Musulmani e Cristiani che pregano insieme, uniti dalla vita di un ragazzo, uno di quei ragazzi che non hanno voce, venuti coi barconi col solo vestito che indossano.
E’ grazie a questo ragazzo venuto dal nulla se in questi giorni, tra persone così diverse per religione, cultura e lingua, si è respirato aria di Paradiso.
Ci viene da ripensare alla semplicità dalla quale tutto è cominciato, ad uno sguardo il giorno di Natale dell’anno scorso. Franco era andato in ospedale a conoscerlo perché malato, e l’ha visto sfinito sul letto d’ospedale col pranzo lì a fianco non consumato che di lì a poco avrebbero portato via. Aveva fame ma non aveva la forza di alzarsi a mangiare.
Troppo spesso lo sguardo si ferma alla testa che pensa: c’è chi provvede, non ho tempo, non so fare queste cose.
Forse perché lo sguardo è rimasto più a lungo, il tempo necessario affinchè arrivasse al cuore, che gli ha fatto vedere Mohamed con uno sguardo diverso, con occhi nuovi, gli occhi di quella sua mamma che in qualche parte del mondo era in pena per lui…
Gli ha semplicemente dato da mangiare come avrebbe fatto lei, e così per i giorni successivi.
Come avrebbe fatto lei, era al sui fianco al ritorno da esami dolorosi, perché sentisse che qualcuno lo aspettava, o avesse semplicemente compagnia.
Il cuore di una mamma non vede la nazionalità, la religione, l’educazione o cultura. Ama.
Questo sguardo di mamma, molto simile allo sguardo che Dio ha per noi, non ha permesso che questo ragazzo restasse solo o lontano dall’ospedale che poteva curarlo e lo ha portato a far parte della nostra famiglia.
Questo sguardo ha la forza del contagio e dalla nostra famiglia a don Massimo che ci ha sempre sostenuto, è subito arrivato a tutta la nostra comunità.
E tutti noi con meraviglia abbiamo scoperto che chinandoci verso un povero, abbiamo alzato lo sguardo verso il cielo, facendo gesti dal sapore di eternità che hanno portato un pezzetto di Paradiso in noi, nel cuore di Mohamed e di tutta la comunità.
E’ questa la ricchezza di un povero.
E così chinandoci verso un malato, immigrato, orfano, analfabeta abbiamo alzato lo sguardo facendo gesti dal sapore di eternità che hanno portato un pezzetto di Paradiso.
E’ questa la ricchezza di un malato,orfano,immigrato,analfabeta.
Forse questo pezzetto di Paradiso che Mohamed sentiva intorno a sè ha impedito che lo scoraggiamento, la solitudine, la disperazione della sofferenza prendessero piede nel suo cuore e lui mantenesse vivi ed amplificasse quel tesoro di valori, fede, umanità, bontà che già aveva.
Si perché Mohamed era un ragazzo dalla fede forte, 5 volte al giorno pregava, anche su un lettino del pronto soccorso di Bologna mentre si torceva dal dolore, si è girato in ginocchio verso la Mecca.
Era unito a Dio e sentiva dentro la voce del suo papà nei momenti difficili. Per questo era onestissimo, profondo, buono.
Mohamed sapeva ridonare a piene mani tutto ciò che riceveva, affetto verso i ragazzi diversamente abili, accoglienza coi bambini, aveva richiesto di portare un sorriso ai bambini figli dei detenuti a Rebibbia, se la malattia non glielo avesse impedito.
Se gli veniva donato un paio di pantaloni lui ne prendeva un altro dei suoi e lo donava ad un povero.
Aveva parole di sostegno per i suoi amici immigrati e forte della sua fede ha riportato alla preghiera diversi ragazzi cristiani che con lui si confidavano, li invitava a frequentare più assiduamente la messa perché diceva che non si può andare avanti senza parlare con Dio.
Un giorno alla mamma che le confidava la preoccupazione che lui fosse diventato cristiano ha risposto: “no mamma, io vivo in una famiglia cristiana che mi rispetta, mi fa vivere la mia fede musulmana, mi fa mangiare e pregare da musulmano e mi porta in moschea… ho scoperto che i cristiani vivono l’amore al fratello che è scritto anche sul Corano. Attraverso di loro sto riscoprendo la mia vera spiritualità di musulmano”.
Scherzoso,umile, semplice, ha affrontato il dolore con grandissima dignità, senza lamentarsi mai.
Mohamed non aveva nulla e per questo prendeva tutto dalle mani di Dio che pregava, amava,sentiva vicno… quel Dio che gli ha dato una famiglia grande come la nostra comunità, quel Dio che lo ha vestito, nutrito,sollevato attraverso questa sua comunità, quel Dio che oggi lo voluto a sé.
Un giorno ha detto a Luca: “Io sono sereno perché prendo tutto dalle mani di Dio…se lui vuole che io resti qui, lotterò con tutte le mie forze per vivere, ma se mi vuole con sé, io sono pronto”. Che grande ricchezza un musulmano…
Ieri per la prima volta abbiamo visto e parlato con la sua mamma, e tra le tante cose ci ha detto: “Mohamed mi ha detto tutto, mi ha detto che non ha mai dovuto chiedere niente perché ancor prima di chiedere voi capivate di cosa aveva bisogno…voi siete la sua vera famiglia… io gli ho dato la vita naturale, ma voi gli avete dato la vita vera…”
Questo è il suo ringraziamento che vogliamo estendere a tutte le persone che lo hanno conosciuto e gli sono stati accanto in questa straordinaria, specialissima “avventura”…
Noi del Pescara 3 ci riteniamo fortunati per aver potuto vivere direttamente parte di questa storia, e ringraziamo il Signore per aver donato don Massimo, Franco e Graziella con i loro figli alla nostra comunità parrocchiale.
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