Siamo venuti per adorarlo … torniamo alla nostra vita per servirlo

Il Messaggio del nostro Assistente Ecclesiastico Regionale Don Vito nel giorno dell’Epifania.

Carissimi capi e capo della Regione Abruzzo, con la solennità dell’Epifania si concludono le celebrazioni legate al Natale del Signore.

Tra le tante “suggestioni” che accompagnano la liturgia di questa Solennità non possiamo non sottolineare la gioia che i magi provarono nel vedere la stella che li condusse all’incontro col Re delle genti.

Solo da Cristo ha scaturigine ed in Cristo trova il fine la gioia “vera”, quella che il mondo con le sue seduzioni promette ma non può (ne potrà mai!) dare e che appaga momentaneamente.

Oggi più che mai abbiamo bisogno di una gioia che non disumanizzi l’uomo, ma che lo stimoli ad essere portatore di un messaggio controcorrente, che rivela all’umanità di ogni tempo il valore alto della sua vocazione: LA SANTITÀ! La gioia a cui dobbiamo tendere è quella che, paradossalmente, coincide con la libertà dell’essere figli prediletti perché resi, nel Battesimo, conformi a Cristo Gesù.

La gioia che ci viene chiesto di testimoniare è quella provata nel momento in cui realizziamo il nostro incontro personale con il Vivente; quella gioia incontenibile che ha nell’Eucarestia la sua fonte ed il suo culmine.

C’è una grande differenza tra gioia e felicità (termini che spesso usiamo come sinonimi); la felicità è legata a particolari situazioni, momenti della vita, …, esauriti i quali ritorniamo nel nostro stato d’animo abituale, la gioia, al contrario, per il cristiano dev’essere uno STILE DI VITA! Dobbiamo far in modo che la nostra gioia sia “contagiosa”, dobbiamo far in modo che l’esultanza dell’incontro col Cristo parli attraverso di noi piuttosto che parlare della gioia per averLo incontrato.

L’Eucarestia non potrà, in questa ottica, non essere il centro della nostra vita; il Santo Padre Benedetto XVI, nel corso dell’omelia tenuta a Colonia nel 2005 (durante la XX Giornata Mondiale della Gioventù), esortava i giovani dicendo: “Non lasciatevi dissuadere dal partecipare all’Eucaristia domenicale ed aiutate anche gli altri a scoprirla. Certo, perché da essa si sprigioni la gioia di cui abbiamo bisogno, dobbiamo imparare a comprenderla sempre di più nelle sue profondità, dobbiamo imparare ad amarla. Impegniamoci in questo senso – ne vale la pena! Scopriamo l’intima ricchezza della liturgia della Chiesa e la sua vera grandezza: non siamo noi a far festa per noi, ma è invece lo stesso Dio vivente a preparare per noi una festa. Con l’amore per l’Eucaristia riscoprirete anche il sacramento della Riconciliazione, nel quale la bontà misericordiosa di Dio consente sempre un nuovo inizio alla nostra vita”; sia essa il modello con cui confrontarci, il sostegno nel nostro pellegrinaggio terreno, lo stile della nostra vita: facciamoci Eucarestia, facciamoci rendimento di grazie come lo stesso Benedetto XVI ha suggerito: “Noi stessi dobbiamo diventare Corpo di Cristo, consanguinei di Lui. Tutti mangiamo l’unico pane, ma questo significa che tra di noi diventiamo una cosa sola. L’adorazione, abbiamo detto, diventa unione. Dio non è più soltanto di fronte a noi, come il Totalmente Altro. È dentro di noi, e noi siamo in Lui. La sua dinamica ci penetra e da noi vuole propagarsi agli altri e estendersi a tutto il mondo, perché il suo amore diventi realmente la misura dominante del mondo.”.

Come i santi magi, di cui parla il Vangelo, non vergogniamoci di prostraci per adorarlo. L’atteggiamento dei magi di fronte al Bambino Gesù non li svilisce nella loro dignità di re, ma anzi li “divinizza”. Non vergogniamoci di trovare il tempo per “piegare le nostre ginocchia” davanti al Signore, di scoprirci fragili e piccoli, sarà questo il solo modo per essere rivestiti della sua onnipotenza. Non dimentichiamoci che l’adorazione non è fine a se stessa; essa deve portarci necessariamente “all’imitazione dell’Adorato”; facciamoci pane spezzato per sostenere il cammino di tanti nostri fratelli dubbiosi, affaticati, tristi, …, che aspettano di incontrare in noi ed attraverso di noi il loro Salvatore. Tanti di essi ci derideranno, molti resteranno indifferenti all’annuncio kerigmatico che recheremo, taluni saranno infastiditi da questo “messaggio scomodo”; tutto ciò non ci blocchi, anzi sia per noi stimolo perché a tutti giunga la Parola d’amore che abbiamo ascoltato e che, mi auguro, abbiamo permesso s’incarnasse in noi. È lo stesso Santo Padre ad ammonirci: “Chi ha scoperto Cristo deve portare altri verso di Lui. Una grande gioia non si può tenere per sé. Bisogna trasmetterla. In vaste parti del mondo esiste oggi una strana dimenticanza di Dio. Sembra che tutto vada ugualmente anche senza di Lui. Ma al tempo stesso esiste anche un sentimento di frustrazione, di insoddisfazione di tutto e di tutti. Vien fatto di esclamare: Non è possibile che questa sia la vita! Davvero no. E così insieme con la dimenticanza di Dio esiste come un boom del religioso. (…) Non di rado la religione diventa quasi un prodotto di consumo. Si sceglie quello che piace, e certuni sanno anche trarne un profitto. Ma la religione cercata alla maniera del ‘fai da te’ alla fin fine non ci aiuta. È comoda, ma nell’ora della crisi ci abbandona a noi stessi. Aiutate gli uomini a scoprire la vera stella che ci indica la strada: Gesù Cristo! Cerchiamo noi stessi di conoscerlo sempre meglio per poter in modo convincente guidare anche gli altri verso di Lui.”.

Da Harper’s Magazine, “Christmas 1898″, di Harvey Ellis

Guidati da una stella i magi giunsero ad incontrare Cristo; anche noi abbiamo seguito la … nostra stella (che nella maggior parte dei casi ha un nome e cognome), ci siamo fidati di lei, abbiamo abbandonato le nostre sicurezze per incontrare Colui che è la risposta alle nostre domande. Sappiamo benissimo che la stella non brilla di luce propria ma s’illumina col sole; anche noi, chiamati ad essere stelle per coloro che vagano nelle tenebre della notte della fede, dobbiamo riscoprirci trasparenza della “luminosità di Dio” … come lo furono i santi.

Lo stesso Benedetto XVI, nel corso della veglia con i giovani partecipanti alla XX Giornata Mondiale della Gioventù ha ricordato che essi: “… sono state persone che non hanno cercato ostinatamente la propria felicità, ma semplicemente hanno voluto donarsi, perché sono state raggiunte dalla luce di Cristo. Essi (…) ci mostrano come si riesce ad essere veramente persone umane”.

Giunti ai piedi di Gesù i magi, come ci ricorda l’evangelista: “aprirono i loro scrigni”: e noi? Cosa abbiamo da offrire al Signore? Certamente ciò che “ci appartiene” e che “ci caratterizza”, qualcuno la sua fatica nel credere, altri il peso della propria fede vacillante, taluni il desiderio di una parola che dia senso alla propria vita, molti la voglia di fare un’esperienza “forte di Cristo”, …, tutte queste cose intendiamo presentarle al Padre celeste perché, nel mistero del suo amore, le sublimi rendendole offerta a Lui gradita.

Unitamente ai nostri “doni” troveremo anche l’oro l’incenso e la mirra che i tre saggi hanno portato per omaggiare il Re dei Re; se da un lato sono il dono dell’uomo a Dio, dall’altro sono le “tre consegne” che il Divin Redentore ci affida nell’accingerci a ritornare alla nostra quotidianità: “ai nostri paesi”.

Monsignor Guglielmo Giaquinta, in un’omelia in occasione dell’Epifania 1990, così esortava: “Cosa io posso dare al mio Gesù che si è incarnato? (…) l’oro dell’amore, ma dell’amore fattivo, l’incenso della preghiera, la mirra della sofferenza. (…) A volte ci sarà più mirra, più sofferenza, a volte più preghiera, a volte più amore operativo o, sempre per quello che ci è possibile, tutti e tre questi doni. Amore operativo, perché l’amore vero si esprime nelle opere; troppo spesso noi diciamo al Signore che gli vogliamo bene e quando poi concretamente Lui vuole qualche cosa da noi, ci tiriamo indietro (…). L’incenso della preghiera: anche qui siamo portati a limitarci alla preghiera voluta dalle Regole, dalle Costituzioni, che non è la preghiera continua, non è l’offerta incessante che dovremmo fare al Signore, l’incenso che deve salire perennemente verso di Lui e verso il Padre. E la mirra della sofferenza, del dolore, della debolezza, dei dispiaceri, del non avere magari quello che vorremmo. (…) Se non possiamo dare a tutti il nostro amore operoso, (…) possiamo almeno dare la preghiera, pregare per tutti i fratelli perché per tutti oggi ed ogni giorno sia Epifania (…). E l’offerta della sofferenza, quando il Signore ce la vuole mandare, magari quando non ce l’aspettiamo, quando non la vorremmo (…)”.

Vogliamo lasciarci stimolare, prendendo lo spunto dalla frase conclusiva della pericope evangelica dell’Epifania del Signore, da un’ultima riflessione; san Matteo ci ricorda che i magi … per un’altra strada fecero ritorno al loro paese. Essi, convertiti dall’incontro con Messia delle genti, scelgono di non tornare da Erode e decidono di non seguire la strada della “ragione” ma quella del “cuore” per tornare, arricchiti, alla loro ordinarietà. È questa una delle più grandi tentazioni; non si tratta di rinnegare nulla del nostro passato (esso ci ha condotti ad essere quello che siamo!) si tratta invece di chiudere con ciò che ci impedisce di essere, alla stregua dei magi, uomini e donne rinnovati da un’incontro che ci ha cambiato (che ce ne rendiamo conto o meno) la vita.

Anche a noi viene chiesto di fidaci di ciò che Dio ci indica attraverso le stelle che abbiamo visto brillare sul nostro cammino e seguire la voce del nostro cuore; ci aiuti in questo Maria, stella del mattino, che gli orientali definiscono odighitria (colei che indica la via); ella ci indichi la Via che attraverso la Verità ci introduce alla Vita: Cristo Gesù Nostro Signore che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

Villa Raspa di Spoltore, 06 gennaio 2013

Epifania del Signore. 

 don Vito Cantò

Assistente Ecclesiastico Regionale A.G.E.S.C.I. Abruzzo

 

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