Giornata mondiale del rifugiato: l’esperienza di Valeria, le sue impressioni, il suo servizio

Nella giornata mondiale del rifugiato pubblichiamo un bellissimo e denso scritto di Valeria, scolta impegnata del Clan “Shalom” Vasto 1.

E’ bello trovare in lei non solo il ricordo dell’esperienza forte vissuta in comunità ma soprattutto la determinazione nel portare avanti impegni di vero servizio aperto all’altro! Un bell’esempio per tutti!

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Come si fa a  parlare in poche righe della guerra, dell’immigrazione, di quei tanti uomini che fuggono via dai loro paesi lasciando la proprio famiglia, di quei ragazzi che scappano perché tanto neanche una madre gli è rimasta? Non basterebbero tutti i mari attraversati sui gommoni per farlo.

Io però ci provo. La mia avventura inizia con l’esperienza fatta insieme al mio Clan (“Shalom” del Vasto1) a Roma, precisamente in via dei Villini; siamo con gli occhi rivolti verso l’Ambasciata somala che di una  sede diplomatica ormai  ha  solo la moquette, non in buone condizioni.

Ci sono circa 150 “UOMINI” che vivono all’interno e allo stesso tempo però non vi è ne acqua, ne cibo, ne corrente elettrica, ecco perché sarebbe meglio parlare di sopravvivenza. Non si può rimanere indifferenti a questa immagine…e io non ce l’ho fatta. Conoscevo a grandi linee queste situazioni, ma mai avevo ricevuto uno schiaffo così forte dalla realtà che ipocritamente facciamo finta di non vedere.

Proprio per questo motivo, trasferendomi a Roma ad inizio anno per gli studi, ho deciso di dare una piccola mano e di contribuire al progetto per i rifugiati della Comunità Missionaria di Cristo Risorto. Mi occupo insieme ad altri volontari della scuola d’italiano per gli stranieri; il corso è di tre giorni alla settimana durante tutto l’anno e i ragazzi sono divisi in gruppi in base al loro livello.

All’inizio avevo un po’ paura, pensavo di aver preso un impegno molto più grande di me e un po’ per i soliti pregiudizi, un po’ per le continue ma anche giuste preoccupazioni delle persone a me più vicine mi sono lasciata prendere dal panico. Immaginatevi di essere in una stanza da soli con dieci ragazzi mai visti, sconosciuti che tra di loro parlano tranquillamente la loro lingua ma che con te sono capaci di dire solo “pon sera faleria scivediamo setemana …ciao” …è normale farsela un po’ sotto, no?

Col tempo però impari che il ragazzo seduto al primo banco si chiama Abdihaken viene dalla Somalia ed ha 21 anni e che non vuole mai andare alla lavagna perché si vergogna di sbagliare, vicino a lui c’è Yerro silenzioso che va forte col tempo presente del verbo essere, poi Bah Mohammed che al contrario dei primi due non riesce proprio a star in silenzio; impari  anche che come in tutte le classi c’è il “secchione”, Bah El Hadyi che oltre a sapere l’inglese, il francese, l’arabo sa anche svolgere tutti gli esercizi d’italiano e così via c’è Abdshir, Saidu, Mustafà…

Le paure rimangono ed è giusto che sia così… sono presenti, lasciandoti però libero di fare le tue scelte  e di sentirti parte di quella che va sotto il nome di Umanità.

I ragazzi della scuola forse non avranno parenti, la vita d’altronde ha chiesto loro di crescere un po’ più in fretta, ma ognuno ha una propria identità, anche senza un regolare  permesso di soggiorno… chi l’ha detto che per essere “UOMINI” ci sia bisogno di un pezzo di carta?

C’è una frase che mi piace tanto ricordare di un libro “Il razzismo spiegato a mia figlia” di Ben Jelloun che da piccola  mi aveva letto mia madre: “Non incontrerai mai due volti assolutamente identici. Non importa la bellezza o la bruttezza: queste sono cose relative. Ciascun volto è simbolo della vita. E tutta la vita merita rispetto. E’ trattando gli altri con dignità che si guadagna il rispetto per se stessi”.

Valeria_Clan Shalom Vasto1

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