perché il luogo sul quale tu stai
è terra santa!” (Es 3,5)
Carissimi capi e capo della Regione Abruzzo, vi raggiungo con questo messaggio per condividere con voi alcune riflessioni nel mentre, in comunione con la Chiesa Universale, muoviamo i primi passi nell’itinerario quaresimale.
“Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è terra santa!” (Es 3,5); sono queste le parole, severe e perentorie ma cariche di affetto per il suo popolo, con le quali Dio si rivolge a Mosè sull’Oreb invitandolo a mettersi al suo cospetto; con queste parole vogliamo immaginare che il “nostro Padre e Signore” si rivolga a noi all’inizio di questo “tempo santo” che è la Quaresima; tempo nel quale siamo invitati a metterci di fronte a Dio con le nostre debolezze per riconoscere come solo Lui può donarci la forza, così come fece con il suo servo Mosè che rassicurò dicendogli: “Io sarò con te.” (Es 3,12).
Per stare al cospetto dell’Onnipotente, l’uomo di Dio dovette “scalzarsi”, dovette mettersi a piedi nudi sperimentando la durezza della “terra” con lo sguardo però rivolto al “cielo”. L’esperienza quaresimale, che ci apprestiamo a vivere, è “un’esperienza terrena” che ci invita nuovamente ad anelare alla nostra “Patria celeste”.
Perché la Quaresima è “terra santa”? Perché dobbiamo “toglierci i calzari”? Perché dobbiamo “metterci al cospetto di Dio”? Sono tutte domande alle quali in questi giorni di penitenza, preghiera e digiuno cercheremo, con l’ausilio di Dio, di dare “la” risposta.
Torniamo a Mosè che, con la sua particolare esperienza di Dio, “ci condurrà” in tutto il celebrarsi di questo particolarissimo tempo di grazia.
Voglio riflettere su 3 aspetti fondamentali della sua vita che ricaviamo dalla Sacra Scrittura: Chi è Mosè; Perché proprio Mosè; Cosa fa Mosè.
Chi è Mosè:
Egli è l’uomo che parla con Dio e che parla di Dio.
Principalmente Mosè è un uomo di Dio, un uomo che ha una grande confidenza con Lui a tal punto che Questi vi “parlava faccia a faccia, come un uomo parla con un altro uomo” (Cf Es 33,11); tra i tanti aspetti della sua vita vogliamo soffermarci in particolare su questo.
Chiamato da Dio a realizzare un’esperienza di “esodo assieme al suo popolo” egli non esita a manifestare all’Onnipotente le sue incertezze, le sue remore per un progetto che sovrasta le forze umane; egli è anche l’uomo che presta la sua voce al Dio “goèl” (liberatore) quando si reca dal faraone esclamando: “Dice il Signore, il Signore d’Israele: Lascia partire il mio popolo” (Es 5,1).
Mai come in questo tempo quaresimale, riscoprendoci “famiglia”, siamo chiamati a compiere il nostro esodo dalla schiavitù del peccato alla libertà della vita divina; mai come questo periodo siamo chiamati dal Signore ad essere intrepidi nel gridare al “nostro faraone”: “vogliamo riacquistare la libertà” riscoprendo la nostra vocazione di figli di Dio acquisita con il Sacramento del Battesimo. Ad imitazione del popolo d’Israele, che attraversò, con alla testa Mosè, il Mar Rosso, anche noi siamo invitati a passare nelle “acque purificatrici del battistero”. Salvato dalle acque (Cf. Es 2,1-10), egli è colui che salva il suo popolo attraverso l’acqua. La Quaresima, e la storia tutta della Chiesa ce lo ricorda chiaramente, è tempo battesimale per eccellenza; periodo in cui, un tempo, i catecumeni emettevano la loro professione di fede in Dio Salvatore ricevendo i Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana.
Perché proprio Mosè:
Egli è “scelto” perché è “un pastore premuroso”.
Possiamo facilmente immaginarlo soprattutto per il fatto che Dio lo chiama mentre “stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero” (Es 3,1). Mosè riceve da Dio una “vocazione nella vocazione”: da custode e pastore di pecore è chiamato ad essere custode, pastore e guida di un “nuovo gregge”.
Abituato a condurre delle pecore, l’uomo di Dio deve ora “condurre un popolo: il popolo di Dio”; esperto nel trovare il pascolo erboso dove guidare il gregge, Mosè deve ora tracciare il sentiero al termine del quale il popolo d’Israele giungerà al “paese dove scorre latte e miele” (Es 3, 17). Affidiamoci a questo “valoroso condottiero” affinché, con la sua esperienza di Dio conduca anche noi, al termine di questa Quaresima, a fare la sua stessa esperienza.
Un altro aspetto vogliamo insieme analizzare in riferimento al ruolo pastorale di Mosè; egli che conduce il gregge di Ietro suo suocero, viene chiamato a guidare un popolo che non è suo in senso di responsabilità ma di appartenenza. “Scelto in mezzo al popolo” è chiamato da Dio a compiere “un’appropriazione”: deve “avvertire la responsabilità” per questa gente che il Signore gli affida; dal momento in cui Mosè pronuncia il suo sì il popolo “non è più di Dio ma suo”. Come a Mosè anche a noi Dio chiede di sentire “nostri” ciascuno di questi quaranta giorni; di vivere i riti ed i momenti di preghiera non come riti e momenti di tutti ma come occasioni che ciascuno ha per crescere nella confidenza (intesa come confidare) in Dio.
Cosa fa’ Mosè:
Si fida di Dio.
Come ultimo aspetto (non meno importante degli altri) siamo chiamati ad interrogarci sul senso più “intimo” della missione di Mosè: sul cosa lo spinge a mettersi in “cammino” (e con lui tutti gli israeliti!).
Umanamente l’atteggiamento di Mosè è inspiegabile, egli liberamente sceglie di abbandonare la tranquillità del suo gregge per andare a discutere con il faraone; egli liberamente decide di mettersi in viaggio ampliando i suoi orizzonti; egli, coniando un’espressione, è l’uomo che sentendosi libero permette al suo popolo di essere libero.
Su cosa si basa la libertà di Mosè? Sul fatto che egli non è compromesso con “le cose di questo mondo” in quanto “confida solo in Dio”!
Quest’ultimo aspetto ci richiama allo specifico della Quaresima. Alla luce di queste riflessioni capiamo meglio cosa la Chiesa intende per “digiuno” ed “astinenza”; queste due opere penitenziali richiamano al cristiano l’impegno a condurre una vita sobria in cui non c’è spazio per il superfluo ma solo per Dio. Torniamo, allora all’essenziale: torniamo a Dio o, per dire con maggior esattezza, andiamo a Dio!!!
Ciascuno di questi quaranta giorni sia un passo che lentamente ci avvicina all’incontro con il Risorto.
Mai come in questo periodo la Parola di Dio deve trovare la centralità nelle nostre vite: sarebbe auspicabile che in ogni famiglia si creasse un “angolo della preghiera attorno alla Sacra Scrittura” nel quale tutti i componenti possano ritrovarsi insieme ed insieme ritrovare Dio. A mio avviso è fondamentale riscoprire, come ci suggerisce il Concilio Ecumenico Vaticano II, il senso della famiglia come “piccola Chiesa domestica”; in quanto genitori e figli, in qualunque periodo dell’anno (soprattutto in Quaresima), siamo chiamati a vivere la nostra esperienza di Dio.
Più che parlare di Dio, in questo tempo, dobbiamo permettere a Dio di parlare al nostro cuore: è necessario disporci all’ascolto confortati dalla grazia dello Spirito Santo.
Cosa fare, allora? Sull’esempio di Mosè “mettiamoci in cammino”, avviamoci in questo pellegrinaggio ma non da soli, insieme, con la consapevolezza che la salvezza di Dio è un evento “comunitario”.
Come ci ha ricordato il Santo Padre nella lettera Enciclica al termine dell’Anno Giubilare “sciogliamo le vele e prendiamo il largo” verso l’incontro con il Risorto con la certezza che dopo il “deserto” verrà la “terra promessa”.
Facciamo continuamente memoria del fatto che la nostra vita dev’essere un pellegrinaggio la cui meta è la Gerusalemme celeste ove in compagnia della Beata Vergine mediatrice di ogni grazia, dei santi Francesco, Giorgio e Polo, nostri celesti protettori, speriamo di giungere al termine della nostra esperienza terrena.
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Villa Raspa di Spoltore, 13 febbraio 2013, mercoledì delle ceneri.
don Vito Cantò
Assistente Ecclesiastico Regionale A.G.E.S.C.I. Abruzzo
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