Pescara, 26 novembre 2017
“La bellezza di essere capo in associazione”
“La Bellezza di essere Capo”: è su questo tema che abbiamo voluto incentrare il primo numero del nuovo Foglio dell’Orso, un giornalino online che possa diventare strumento di condivisione ed informazione per le quattro zone della nostra Regione. Attraverso significativi articoli sull’argomento, abbiamo così messo insieme le voci di alcuni capi.
Tra gli altri, abbiamo ottenuto la disponibilità di una delle voci più ascoltate del mondo scout italiano e, in generale, del Terzo settore cattolico: modenese, ma di origini abruzzesi, Edoardo Patriarca è stato Presidente nazionale dell’Agesci e portavoce del Forum del Terzo Settore; attualmente è Presidente del Centro Nazionale per il Volontariato, Parlamentare e componente della Commissione Affari sociali.
Caro Edo, secondo te quali sono le doti che non possono mancare al Capo scout?
Direi anzitutto la capacità di ascoltare con attenzione i bambini e le bambine, senza mai dimenticare che non sono recipienti da riempire di cose buone, ma portatori di competenze, di saperi, di visioni della vita che vanno fatti emergere e portare a compimento. La parola “educare”, come ben sappiamo, è questa capacità di “tirar fuori”, di portare a compimento ciò che già è presente nella persona. È una virtù, quella dell’ascolto, che a me pare profetica, da mantenere nel cuore di un educatore in un tempo che pretende di definire tecnocraticamente cosa deve essere la persona. I nostri bambini, le nostre bambine sono un “mistero” e di fronte al “mistero” della vita ci si avvicina con attenzione, con amore. La seconda virtù è saper comunicare e proporre un progetto di vita (quella scout) soprattutto nella testimonianza concreta, nella vita quotidiana, nei piccoli gesti feriali. I nostri ragazzi hanno bisogno di adulti appassionati del quotidiano, non di eroi, ma di persone davvero feriali che incarnino la vita nei piccoli gesti. Non ultima, la capacità di guardarsi dentro, di verificare il proprio servizio di capo: il rapporto educativo, pur asimmetrico, chiede un cambiamento di tutti i soggetti in campo, anche dei capi. Guai a sentirsi “arrivati”.
Da cosa si dovrebbe riconoscere un Capo scout anche quando non porta l’uniforme?
Il nostro fondatore ci ha indicato la via e il servizio al quale siamo chiamati: essere buoni cittadini e buoni cristiani. Buoni cittadini oggi penso significhi testimoniare un comportamento di cittadinanza attiva, d’impegno verso la comunità, di legalità e di amicizia civile, sempre pronto al dialogo, attento alla dimensione politica, lo strumento con il quale proviamo a rispondere insieme ai problemi della comunità. Soprattutto non cedere al pressappochismo, al qualunquismo, ma in ogni luogo provare a proporre un “pensiero pensoso”, volto a scavare e capire.
Buoni cristiani oggi: bella sfida. Me la caverò così. Un amore per la Chiesa come comunità animata dal Signore che si fa presente nella Eucaristia. Una Chiesa che mostra le sue debolezze, le sue fragilità, certo, ma che comunica e preserva il cuore del messaggio evangelico, riproponendolo in ogni momento. Amare la proposta Chiesa non significa chiudersi in un silenzio rinunciatario, nell’appiattimento o rifugio in un vacuo spiritualismo, bensì partecipare testardamente alla vita della comunità,senza mai giungere a divisioni o fratture. Una testimonianza laicale che si mostra nelle opere, nell’attenzione agli ultimi, ai poveri, agli scarti, come ci ricorda Papa Francesco. Infine una profonda spiritualità, quella che abbiamo coltivato nello scoutismo, cioè l’attenzione ai segni dei tempi, i segni deboli che preannunciano il tempo nuovo.
Essere capi in questa società: facile o difficile?
Direi che è difficile vivere e proporre un servizio e un’esperienza di formazione permanente e continua. Ho l’impressione che oggi, in questo tempo del presente, il prendersi cura di aiutare a fare crescere le nuove generazioni, sia dimenticato. È un tempo di resistenza e resilienza, ribadendo che questo servizio rimane il più bel servizio che si è chiamati a compiere, una benedizione, perché i bambini e le bambine sono il futuro già qui presente.
È importante formarsi come capi scout perché abbiamo bisogno che i percorsi formativi siano strutturati, abbiamo bisogno di passaggi anche istituzionali; dunque, non solo il brevetto, ma anche la consapevolezza che in educazione non si è mai arrivati, che l’essere capi ci chiede di stare sempre sulla strada, di stare nel tempo, fedeli ai valori, ma anche alla vita che cambia, soprattutto quella dei nostri ragazzi.
Cosa pensi quando si parla di “vocazione” del capo?
Vocazione è una bella parola, antica, un po’ desueta. Ci ricorda che non tutti sono chiamati e capaci di essere capi ed educatori. Penso ai lunghi anni passati nella scuola, parlavo di vocazione un po’ invano; la controproposta era “professionalità”. Spesso accadeva d’incontrare colleghi bravissimi nella disciplina, alcuni davvero bravi, ma incapaci di aprire una relazione, di appassionarsi allo studio, di creare un clima positivo di apprendimento, di benedire (dire bene) i propri ragazzi. Di empatia. Ecco, queste virtù non le impari all’università, le impari sul campo e se hai la vocazione. Se non ce l’hai, lo dico sempre: “lascia perdere”.
l’intervista che avete appena letta è presente nella sola versione “online” del Foglio dell’Orso ed è stata realizzata da Noemi Trivellone.
Qui di seguito trovate il numero cartaceo già preparato per voi: ci sono gli articoli in formato solo testo, oppure potete scaricare la versione e-pub o quella per la stampa a cui potrete provvedere personalmente.
versione e-pub – versione per la stampa
Essere capo in Agesci non può essere un evento casuale: un capo in Agesci è tale perché nella sua vita ha incontrato qualcuno che gliel’ha cambiata… e l’incontro si fa colloquio d’amore.
La bellezza di un incontro, porta alla bellezza di essere capo
In queste brevissime riflessioni, mi attarderò non sulla funzione dell’essere capo, ma sulla necessità di rispondere ad una chiamata; “Li chiamò perché stessero con Lui, ed anche per…” (Mc. 3,13-14).
“La vocazione scaturisce dal cuore di Dio e germoglia nella terra buona del popolo fedele, nell’esperienza dell’amore fraterno” (Papa Francesco).
Il capo scout è un uomo come tanti, non perfetto ma sicuramente incuriosito dalla Bellezza, come Mosè che sul monte di Dio, l’Oreb, vede un roveto che arde ma non si consuma, ed incuriosito si avvicina e conosce il Dio tenero e Padre eternamente geloso del suo popolo sofferente. “I figli di Israele gemevano per la schiavitù: gridarono e la loro invocazione di aiuto salì fino a Dio. Dio udì il loro lamento, e si ricordò della sua alleanza”.
Ogni uomo e capo scout, nonostante il limite e la fragilità, è chiamato, come il grande condottiero Mosè (cfr. Es. 3) che non è un grande parlatore, ma impacciato di Lingua e di Bocca, a scoprire nella sua vita il dono di una vocazione che non è rivolta a lui, perché di successo (cfr. 1Cor. 2,1-5), perché riesce a parlare ai ragazzi con linguaggio forbito e ricco secondo le logiche del mondo, ma perché è l’uomo che si è lasciato avvincere dalla curiosità di rispondere ad una chiamata del Dio vivente.
È questo incontro che, come un fuoco che arde ma che non si consuma (Es. 3), spinge ogni cristiano, ed in particolare il capo scout, a non tacere, a spendersi ed a reinventarsi sempre strade nuove di comunione e di servizio.
Come Mosè, è chiamato a riconoscere i suoi fallimenti, l’essere uomo e donna balbuziente… fragile e debole, ma amato ed inviato da Dio. Consapevole di possedere un Tesoro in vasi di creta (2 Cor. 4,7), perché si manifesti la potenza straordinaria di Dio.
È proprio questa condizione di fragilità che lo porta ad una vera umiltà, condizione necessaria per comprendere che tutto è dono ed opera di Dio!
Il capo è colui che, in tutta verità e con molta serenità, riconosce le sue debolezze e si rivolge a Dio perché ne sia liberato, scoprendo che offrendo al Dio vivente quello che è, trova la strada della Grazia, della guarigione, seguendo la legge dell’incarnazione, evitando la tentazione del tutto e subito.
Il capo, come Geremia, sperimenta la seduzione operata da Dio (cfr. Ger. 20,7-9): Geremia si è lasciato persuadere, quasi “ingannare” dall’amore di Dio, attrarre e legare; il profeta ha acconsentito a tale attrazione senza opporsi, ha accettato la sua vocazione nonostante debba gridare con vigore ed essere schernito e sbeffeggiato dal suo popolo, compresi potenti e religiosi dell’epoca.
Dopo un iniziale desiderio di liberarsi del compito di essere profeta, però, non riesce a tornare indietro e volgere le spalle a JHWH, perché si sente totalmente identificato con il cuore di Colui che gli ha assegnato questa missione ingrata; ormai Geremia è una cosa e persona sola con il suo Dio!
Il capo, dunque, è colui che entra in un colloquio di Amore (Canto dei Cantici) con il suo Dio, prima di ogni altra cosa o servizio, nel silenzio del cuore, lasciandosi plasmare e lavare i piedi per essere mondo e così riprendere il cammino che lo porterà “nelle vene della storia” di ogni fratello e sorella che incontrerà lungo la strada.
Buona Strada,
Padre Giorgio Moriconi
Annamaria Galassi termina oggi il suo mandato di responsabile regionale dopo sei anni. Ecco il suo saluto.
Saluti di fine mandato
Carissimi, oggi si conclude il mio lungo servizio come responsabile regionale (ben sei anni!); quando ho iniziato mi son presentata raccontando: “Ho scelto di essere educatore nello scoutismo anche perché la prima cosa che mi è stata detta è che ‘Lo scoutismo è un gioco pieno di allegria’ (B.P.); ho pronunciato la mia promessa perché sono davvero convinta che sia necessario porre il proprio onore nel meritare la fiducia perché leali ed onesti. Ritengo essenziale parlare dicendo ‘pane al pane e vino al vino’ o meglio, come ha detto Gesù: ‘Il vostro parlare sia ‘Si, si, no, no’, perché il di più viene dal maligno’ (Matteo, 5-37)”.
Spero di aver sempre rispettato questo programma: giocare il servizio con allegria, lealtà, onestà, essenzialità in tutto, anche nelle parole; vi chiedo scusa per tutte le volte che non è stato così.
Come ho scritto anche al consiglio nazionale, vorrei ringraziare tutti per la grandissima ricchezza di incontri e di idee che ho ricevuto: incontrare tanti capi e scoprire tante belle realtà ed esperienze è stato fonte di gioia e iniezione di coraggio e di motivazione non solo per il mio servizio, ma per la mia vita.
In particolare ho svolto il mio servizio in diarchia con Carlo Auriti e Luigi Gobbi: entrambi sono stati per me un sostegno enorme e in alcuni momenti particolari della mia vita si sono assunti la maggior parte degli oneri. Con Carlo abbiamo spartito ogni passaggio, ogni momento del servizio, scambiandoci idee e impressioni con lunghe e frequenti telefonate, con Luigi spesso non c’è stato bisogno neanche di parlare, ma con entrambi ho condiviso responsabilità e progetti senza mai trovarci in disaccordo; non è difficile quando si vivono pienamente le scelte del Patto associativo e si conosce la realtà in cui si opera!
Lavorare sempre insieme ed in armonia con i membri del comitato e del consiglio regionale, anche rinunciando a volte alla velocità di realizzazione o al proprio pensiero, è stato il segreto per riuscire a realizzare i programmi e gli eventi regionali. Grazie a tutti!
Non nascondo che ci sono stati momenti difficili come il dover andare in Tribunale per un evento di educazione alla pace e alla fratellanza fra i popoli o dover gestire addirittura un’emergenza… assistente ecclesiastico. In tutti questi momenti la presenza rasserenante e profonda in Regione di don Franco ci ha fatto sentire davvero l’abbraccio della nostra Chiesa.
Ci sono stati anche altri momenti molto più difficili, ad esempio quando un responsabile regionale ha regalato ad un vescovo, alla fine della Santa Messa, delle bottiglie di vino dicendo: “Abbiamo pensato a questo regalo perché sappiamo che lei apprezza!”. Tutta l’assemblea ha riso lasciandoci nel panico sull’altare! O le tristissime riunioni di consiglio regionale (ma anche nazionale!), che avete visto immortalate sui social, caratterizzate da severi digiuni in location bruttissime!
Purtroppo oggi avremmo dovuto giocare lealmente per decidere chi svolgerà il servizio di responsabile regionale nel grande gioco dello scautismo abruzzese, ma non abbiamo trovato disponibilità; spero che questa mancanza possa essere colmata al più presto. Sappiate che non è solo un servizio pesante ed impegnativo, ma anche un ruolo costruttivo, arricchente ed in molti momenti divertente.
Ho vissuto questi anni continuando sempre il mio servizio con i ragazzi e ciò mi ha consentito di apprezzare nella sua interezza la nostra amata Associazione. Per ricordare solo due esempi voglio citare la Route nazionale di branca R/S che ho vissuto direttamente con i rover e le scolte del mio clan, ma anche come responsabile regionale nell’organizzazione degli spostamenti e dell’accoglienza, dopo aver partecipato alla preparazione in consiglio nazionale; ho avuto il privilegio di conoscere direttamente il coraggio di chi propone imprese che sembrano impossibili e il coraggio dei nostri ragazzi che rispondono generosi ai nostri inviti. Voglio anche citare i cambiamenti organizzativi che stiamo vivendo in questo periodo e che rispondono alle reali esigenze di chi fa servizio davvero sul campo e vuole solo semplicità.
In questi anni, insieme ai miei partner associativi, ho cercato di indirizzare la riflessione nelle assemblee e nei convegni regionali su alcuni punti di base: l’aderenza alla legge scout e al Patto Associativo, il senso di appartenenza all’associazione e la partecipazione alla democrazia associativa, l’essere adulti pacificati per poter essere educatori. Spero che qualcosa dei nostri convegni e delle nostre relazioni vi sia stato utile. Abbiamo anche cercato di snellire e semplificare la gestione economica.
Ringrazio il Signore, che deve essere sempre al primo posto nei nostri pensieri e nel nostro cuore e ringrazio tutti coloro con i quali ho condiviso il servizio in comitato e consiglio regionale e nazionale e anche voi tutti per le belle esperienze vissute.
Prego Dio che aiuti l’Agesci in Italia ed in particolare in Abruzzo a continuare il suo cammino migliorando sempre nell’adesione forte, convinta e coerente ai principi del Patto Associativo.
Prego Dio anche perché aiuti ciascuno di noi capi a poter dire sempre, con onestà e serenità, ciò che San Paolo ha scritto nella lettera ai Filippesi: “Ciò che avete veduto in me è quello che dovete fare”.
Infine un augurio in musica:
Brilla brilla la scintilla brilla in fondo al mare
venite bambini venite bambine e non lasciatela annegare
prendetele la mano e portatela via lontano
e datele i baci e datele carezze e datele tutte le energie
venite bambini venite bambine
e ditele che il mondo può essere diverso
tutto può cambiare la vita può cambiare
e può diventare come la vorrai inventare
ditele che il sole nascerà anche d’inverno
che la notte non esiste guarda la luna
ditele che la notte è una bugia
che il sole c’è anche c’è anche la sera
(Francesco Tricarico)
Annamaria Galassi
Qualche settimana fa Maura del gruppo L’Aquila 2 ha discusso una tesi molto interessante che parla di noi
Una tesi di laurea sullo scautismo? Ecco perché
Ciao a tutti, mi chiamo Maura, ho 22 anni e sono nata e cresciuta a L’Aquila.
Quando avevo 8 anni, i miei genitori, scout anche loro, mi portarono per la prima volta nella sede dell’Aquila 1 e da quel giorno lo scoutismo entrò a far parte delle mie giornate. Le riunioni il sabato, i campi estivi, le uscite la domenica e i vari pernottamenti, divennero pian piano una costante. Per me la sede fu un punto di riferimento fondamentale, soprattutto nel periodo post-sisma.
Da un passatempo, lo scautismo diventò una passione che oggi è per me uno stile di vita.
Ed è proprio quest’ultimo che mi ha spinto, circa un anno fa, ad entrare in comunità capi, con l’obiettivo e in particolar modo la voglia, di trasmettere a quanti più possibile il meraviglioso mondo scout.
Ormai lo scautismo è talmente tanto parte della mia vita che è stato anche il protagonista della mia tesi di laurea, presentata lo scorso 14 ottobre.
Alcuni di voi potrebbero chiedersi “una tesi sullo scoutismo? E di che cosa avrà mai parlato?” oppure “sullo scautismo ce n’è da scrivere!”.
Spero che la risposta possa piacervi: ho trattato dell’importanza che ricopre la città per la crescita e per lo sviluppo dell’individuo, di come lo scautismo sia funzionale in un contesto territoriale e di quanto sia ancora oggi, dopo 107 anni, un valido metodo per educare i giovani alla cittadinanza attiva.
Questo, inevitabilmente, mi ha portato ad approfondire l’aspetto della scelta politica, contenuta nel Patto Associativo. Attraverso questa scelta, il capo scout vive con i suoi ragazzi l’importanza di partecipare alla vita cittadina, promuovendo di fatto un’educazione politica che si pone come obiettivo lo sviluppo di una coscienza, di una responsabilità da tradurre in un impegno autentico, concreto e attivo nella comunità.
Lo scautismo non ha modo di esistere senza un territorio su cui poter agire: ecco perché come capi dobbiamo dimostrare la nostra appartenenza ad un luogo, o ad una parrocchia, per valorizzare agli occhi dei ragazzi la città e fargli così comprendere l’importanza del prendersi cura di qualcosa.
Essere capo scout vuol dire molte cose, ma significa soprattutto essere esempio. Ecco dove sta la bellezza di essere capo in Agesci: sta nella nostra coerenza, nel coniugare la scelta politica ad una partecipazione attiva per un bene comune come il territorio. La bellezza di essere capo sta nel riconoscere il nostro ruolo di educatori per produrre un cambiamento culturale nella società, proprio come Baden Powell ci ha spronato a fare dal 1907: “Procurate di lasciare il mondo un po’ migliore di come lo avete trovato”.
Maura De Dominicis
Capi(rsi) per capire i ragazzi
I capi scout dell’Abruzzo si sono riuniti per parlare di educazione, quasi un anno fa, in Assemblea. Si sono fermati per capire i bambini e i ragazzi di oggi, si sono fermati per capirsi.
È sempre bello circondarsi di altri che insieme a te desiderano quello in cui Baden Powell credeva fortemente: la ricerca, non la ricetta, di esperienze che ci facciano crescere felici. E come esserlo è possibile solo se si dedica un po’ del nostro prezioso e precario tempo agli altri.
I temi trattati, così come l’intervento dell’esperta, la dott.ssa Barbara Di Clemente, ci portano a posare lo sguardo sulle luci e sulle ombre del nostro fare educazione. Le letture estrapolate da Barbara dal libro “Quello che dovete sapere di me. La parola ai ragazzi”, che raccoglie alcune lettere dei partecipanti alla Route Nazionale, sono state interessanti per entrare dentro mondi segreti, tormentati ed altrettanto affascinanti.
Le riflessioni dei capi, emerse nei lavori di gruppo, si concentrano su due aspetti fondamentali: la richiesta di informazione e di formazione, rispetto alle richieste di crescita dei soci giovani, la richiesta di formazione metodologica e pedagogica, soprattutto in zona ed in comunità capi.
A noi svegliarci, scendere dalla culla dell’abitudine e del sicuro, addentrarci nella giungla, accompagnati dalla sapienza, dal pensiero ribelle, dalla fedeltà al metodo scout.
Alessandra Fileni, (ICM)
SILDE SINTESI E CONSIDERAZIONI
SOLO CAPI O SOPRATTUTTO ADULTI
Che gran bel baccano è fare del nostro meglio!
Siamo alle solite! Un gran baccano. Proprio un gran baccano. Dopo qualche mese di quiete, non so mai perché torni a riprendere quell’uniforme ancora sgualcita dall’ultimo campo per andare alla prima riunione dell’anno con la mia unità.
È sabato, riprendo i miei figli da scuola, torno a casa dopo una mattina passata tra l’acquisto dei distintivi e la spesa per casa, con mia moglie che vuole vedere se possiamo acquistare un paio di scarpe al piccolo ed io che vorrei immergermi in una stanza insonorizzata per almeno due giorni.
Siamo tutti scout: io, mia moglie ed i miei figli. Dunque dopo pranzo inizia la grande corsa all’accaparramento del calzino blu: non si sa mai perché c’è sempre uno di noi che rimane senza. I ragazzi che invertono i pantaloni, la cinta che non passa i passanti, il berretto da lupetto che non si trova, e poi io e mia moglie che dobbiamo mettere il Gilwell perché in gruppo c’è sempre, per fortuna, un capo che entra (o rientra) e che ha bisogno del fazzolettone di gruppo in “prestito”.
Alle tre e mezza già tutti in macchina per correre in sede ed appena arriviamo appariamo come quei fuochi d’artificio che a mezz’aria si fermano per esplodere in mille luci che schizzano in tutte le direzioni. Quasi nemmeno ci salutiamo.
Un gran baccano.
Qualche lupetto c’è già, pronto a scattare in piedi con il suo “Buona caccia, Akela”. Qualcuno ti guarda negli occhi, qualcuno cerca il tuo sorriso, qualcuno lo fa senza pensarci, continuando a guardare con ammirazione gli esploratori nel campetto che giocano a calcio con una pallina da tennis.
Entro in tana. Penso di essere il primo, ma trovo già Bagheera sorridente, con la scopa in mano, a rassettare la tana rimasta chiusa per qualche giorno; le finestre spalancate per spingere il vento a scuotere fino all’ultimo cartellone delle specialità dell’anno passato.
Entrano i lupetti e timorosi arrivano pian pianino i cuccioli con i loro genitori. Sguardo interrogativo, un misto di gioia e paura: lo stesso sguardo che vedo negli occhi dei piccoli che salgono per la prima volta sul Brucomela durante le feste e le sagre di paese. Non so perché, ma in quel momento, esattamente in quel momento, dimentico che un’ora prima ero sul letto a contestare l’ennesimo sì detto a settembre durante la prima comunità capi dell’anno e la fatica di quel giorno, da quel momento, sparirà nei sorrisi di ognuno dei lupetti e cuccioli che stanno decidendo di regalarmi qualche ora della loro vita.
I genitori ci guardano e poi vanno via: si fidano di noi, e di questi tempi non è poi così scontato.
Lupi del vostro…
In tanti ci dicono che siamo rumorosi, che urliamo troppo. Noi esprimiamo così la nostra gioia di vivere.
È bello parlare a questi lupetti e cuccioli di Gesù senza che loro nemmeno se ne accorgano, è bello fargli scoprire di avere abilità che nemmeno immaginavano di poter avere, è bello vederli felici per un’attenzione speciale, è bello donare loro quel che siamo per lanciarli verso un futuro da adulti significativi e felici.
Nei loro occhi vedo Dio che mi parla, che mi ascolta, che mi incoraggia; nei loro sorrisi trovo la forza; nelle loro grida di gioia trovo sostegno per partire con questo nuovo anno scout. Sarà faticoso, lo so. Ma sappiamo tutti quanta gioia ci sia nella fatica di una passeggiata in montagna, quando dopo un’ascesa impervia si arriva in vetta. Io aspetto quel giorno, e la mia vetta sarà ritrovarli grandi, felici sulle strade del mondo quando incroceranno il mio sguardo e… non mi riconosceranno, né ricorderanno il mio nome. Ma se gli sussurri all’orecchio quel motto, nella loro mente risuonerà quel grido.
Sì, meglio, meglio, meglio, meglio.
Tuono Possente
Gruppo scout ad Alba Adriatica? Perché no?
L’idea di aprire un gruppo scout Agesci ad Alba Adriatica, nasce dalla volontà di alcune persone e dall’entusiasmo del parroco don Stefano Galeazzi. In particolare, io e mia moglie Giada, trasferitici da Pescara ad Alba Adriatica circa due anni fa, avevamo dovuto lasciare il gruppo scout dove nostro figlio era già lupetto. Quell’esperienza e il beneficio che ne aveva tratto nostro figlio, ci hanno spinto a ricercare chi, come noi, aveva in animo lo stesso desiderio. Inoltre, condividiamo lo spirito dell’Agesci che pone bambini e bambine sullo stesso piano, senza rigide divisioni.
Così la nostra strada ha incrociato quella dell’amico Arnaldo, papà di un bimbo di 9 anni, anche lui desideroso di creare un gruppo scout ad Alba. L’occasione dell’incontro è stata un evento sportivo interparrocchiale, dove ci siamo trovati a dialogare con don Stefano, al quale abbiamo esposto le nostre intenzioni: il parroco, entusiasta, non solo ha accolto nostra idea, ma è stato lui stesso a cercare contatti con l’Agesci.
È passato un anno da quel giorno, altre persone si sono avvicinate ed hanno condiviso questo progetto, tante sono state le attività di promozione e di formazione per noi futuri capi: tra queste, anche l’apertura dell’anno scout del gruppo di Silvi che mai smetteremo di ringraziare per il sostegno e supporto fin ora datoci. Speriamo, un domani, di poter aprire anche noi un gruppo ad Alba Adriatica; per il momento ci sentiamo solo di augurare a tutti BUONA STRADA!!!
Massimiliano
Nel weekend 14 e 15 ottobre, noi ragazzi del Gruppo scout Silvi 1 siamo approdati ad Alba Adriatica per vivere insieme la cerimonia dei passaggi. Il luogo non è stato scelto a caso: in questa bella cittadina sul mare, si sta progettando la nascita di un nuovo gruppo scout!
Al nostro arrivo, siamo stati accolti alcuni bambini e dai loro genitori, nonché le future promesse di questa avventurosa iniziativa.
Insieme con loro abbiamo montato le tende e condiviso momenti di gioia con dei giochi allestiti nella piazza e condiviso momenti di gioia con dei giochi allestiti nella piazza centrale, la domenica mattina, in occasione delle preiscrizioni per il nuovo gruppo scout.
La partecipazione alla messa della parrocchia di Sant’Eufemia ha “coronato” la nostra mattinata per poi ritrovarci a pranzare in Villa Flaiani insieme ai futuri capi albensi. La giornata non poteva che concludersi con un grande gioco a caccia delle frasi celebri di B.P. e con la presentazione delle nuove staff.
Le attività hanno avuto un tema centrale: lo scautismo!
Può sembrare banale, ma è il fulcro di tutto ciò che siamo e che siamo andati a rappresentare ad Alba Adriatica: la nostra voglia di fare, di giocare e di portare con orgoglio la nostra Promessa!
Così ha avuto inizio il nostro nuovo anno e auguriamo
Buona caccia al gruppo nascente di Alba Adriatica!
Angela, scolta del gruppo Silvi 1
Una storia (quasi) dimenticata.
“Ogni squadriglia prende il nome da un animale. È una buona idea quella di scegliere animali e uccelli reperibili nella zona”.
“Ogni squadriglia si sceglie un motto suo proprio”.
“Ogni scout della squadriglia deve essere capace di lanciare il richiamo”.
Le frasi qui sopra sono tratte da “Scautismo per ragazzi”. Fu lo stesso Baden Powell, infatti, ad assegnare alle squadriglie i nomi di un animale. Oltre al nome e al motto, però, esiste un ulteriore segno che contraddistingue le squadriglie… Qualcuno ricorda gli omerali? Sapete che cosa sono i nastri omerali?
Si tratta di fettucce di stoffa che hanno i colori che B.-P. assegnò agli animali di squadriglia e che venivano agganciati con un anello di corda tricolore sulla spalla, all’attaccatura della manica della camicia. L’omero infatti è l’osso che parte dalla spalla e va al gomito.
Gli omerali si possono ottenere facilmente da nastri di cotone colorato, e per realizzarli non è indispensabile attendere che qualcuno in squadriglia conquisti la specialità di sarto.
Oggi i nastri omerali sono un po’ fuori moda, ma non per questo sono stati abbandonati del tutto: ci sono squadriglie che li portano ancora; ragazzi e capi che li cercano nelle cooperative scout.
E chissà… forse, a forza d’insistere, si ri-vedranno sulle camicie delle guide e degli esploratori ora che, pare certo, c’è il loro ri-torno nelle rivendite scout.
Anna La Cioppa
Meme & Fun
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